Decameron prima novella
Qui inizia una novella dei tempi in cui i mercanti toscani migravano in Francia per arricchirsi con
prestiti a usura. E c’era un ricchissimo mercante che doveva scendere in Italia per una chiamata del
papa, ma temeva che i Borgognoni – tipi rissosi, infidi e indigenti – sfrondassero le sue ricchezze
senza pagare il dazio. Perciò il mercante suddetto andava cercando un uomo di duro carattere, per
bloccare le ruberie di quei maramaldi. Ed ebbe l’idea di assumere un certo ser Ciappelletto, abitante
a Parigi, un tempo chiamato Ciapperello, con un senso da ben pochi compreso.
Costui – piccolo di persona – notaio truffatore senza pari e assiduo artefice d’imposture, studiava di
procurare mali a conoscenti o chicchessia. Assisteva a delitti che gli davano allegrezza, e
bestemmiava Domineddio e tutti i santi, specialmente quando l’ira lo sobillava anche per un
nonnulla. Non andava in chiesa e faceva ludibrio dei sacramenti, mentre le taverne o altri siti
vergognosi lo rallegravano in abominio. Odiava le femmine come cani odiosi e praticava la
sodomia. Dunque avuta la procura, se ne andò egli in Borgogna a riscuotere il denaro dovuto, ma
così benignamente che pareva non trovasse riposo fuori dalla propria ladresca usura.
Ora però avvenne che ser Ciappelletto cadde in malattia e non vi fu medico che potesse guarirlo. I
due fratelli del mercante si diedero a ragionare così: «Costui che abbiam foraggiato da sano, ora
ch’è infermo non possiamo cacciarlo via. Poiché egli odia tanto i sacramenti della chiesa, ché se pur
dichiarasse i propri peccati, non si troverebbe prete disposto ad assolverli. E la gente del luogo
darebbe a noi la colpa, come scomunicati usurai, contrari alle leggi della chiesa. Dunque che fare?
Ser Ciappelletto, malato, ascoltava quel che dicevano, e li chiamò per rassicurarli così: «Non temete
che qualcosa v’accada per mia colpa. Invero ho mandato tante bestemmie contro Domineddio, che
una più o meno non cambia nulla. Orsù, andate a cercarmi un frate esperto in queste cose e lasciate
fare a me».
Giunse ben presto un venerando frate, che i cittadini tenevano in gran devozione, e lo fecero entrare
nella camera di ser Ciappelletto. Qui il frate chiese: «Da quanto non ti confessi, figliolo?»;
Ciappelletto rispose: «Mi confesso per usanza un dì alla settimana, ma spesso più volte. Però da
quando son malato non feci confessione alcuna».
Disse il frate: «Figlio, hai fatto cosa buona e ti esorto a continuarla, se resterai in vita nei dì che
vengono. Poiché continuando a confessarti con tale frequenza, avrai poche cose da dirmi e io poche
da domandarti». Rispose ser Ciappelletto: «Messer frate, non dite così, giacché mai mi confessai
senza ricordarmi tutti i miei peccati, dal dì in cui nacqui a quello in cui ora sono; pertanto vi esorto
a chiedermi ogni cosa, come se non mi fossi già confessato. Né preoccupatevi per la mia di salute,
giacché preferisco il castigo della carne piuttosto che la perdizione della mia anima».
Tali parole piacquero al sant’uomo, credendo egli d’aver trovato una mente assai ben disposta.
Perciò chiese a Ciappelletto se mai avesse egli peccato di lussuria con qualche femmina. L’altro
rispose: «Padre, mi vergogno a dirvi il vero, poiché mi fate sentir tanto sicuro delle mie parole ch’io
temo di cadere in stato di vanteria. Poiché io sono vergine come quando uscii dal corpo della mia
mamma». Esclamò il frate: «Oh, benedetto da Dio! Come ben tu facesti! E tanto più fu la tua
condotta un grande beneficio, in quanto tu rinunciasti per libera scelta ai richiami della carne,
mentre noi rinunciamo all’istesso richiamo ma per dovuta costrizione».
Indi continuò chiedendo s’egli avesse soggiaciuto ai peccati di gola. Al che ser Ciappelletto sospirò:
«Aimé sì, e ben più d’una volta! Poiché, mentre ai pellegrinaggi nelle quaresime è usanza che le
persone devote facciano un digiuno di pane e acqua, io bevvi spesso l’acqua di gusto. E altresì ho
desiderato gustare le insalatine d’erbucce, che mi parevano assai più gradevoli del cibo che si
digiuna per devozione».
Esclamò il frate: «Oh, figliolo, codesti sono peccati naturali e leggeri. Ogni brav’uomo dopo lungo
digiuno mangia di gusto!». Al che ser Ciappelletto: «Non dite questo per consolarmi». E l’altro:
«Son contento che tu pensi ciò in buona fede. Ma dimmi ora se hai peccato d’avarizia». Al che
Ciappelletto rispose: «Siamo venuti in questa casa di usurai per sgridarli e sottrarli all’abominio dei
loro guadagni; e andando in elemosina ho raccolto palanche per i poveri, e qualche soldo per il mio
bisogno».
«Ben facesti», opinò il frate, «ma dimmi: sei tu spesso adirato e per quali motivi?». «Oh, spesso!»
rispose Ciappelletto «Chi potrebbe non invocare un’ira divina, vedendo tanti giovani andar per
taverne invece che in chiesa?». «La tua è un’ira lodevole», disse il frate, ma poi sentendolo
sospirare per un peccato che non osava dire, l’assicurò così: «Figlio, non aver timori, ch’io pregherò
Iddio per te». Al che l’altro in calde lacrime disse: «Sappiate che da giovane io fui cattivello e
riottoso con la mamma mia. Peccato gravissimo, se voi non chiederete misericordia a Iddio per
me».
Stimando che non vi fosse più nulla da dire a ser Ciappelletto, il frate gli diede l’assoluzione,
benedicendolo quale santissimo uomo. E chi non l’avrebbe creduto tale, vedendolo in punto di
morte, con pentimento sofferto in cerca di perdono? Qui il frate gli chiese se volesse avere il corpo
sepolto nel luogo in cui erano, ed egli rispose che voleva restarvi, data una sua speciale venerazione
per quell’ordine ecclesiastico. E mentre i due fratelli del ricco mercante quasi schiattavano dal
ridere per quell’imbroglio, il falso santocchio ricevette l’ultima unzione e al vespro morì, avendo
tutt’attorno una adunanza di frati che lo recarono alla sua ultima dimora.
Poi il venerando frate non cessò di narrare la bontà e l’innocenza di quell’uomo, mentre tutti
premevano nella grande calca per baciargli i piedi e le mani e i vestiti. Nella notte successiva lo
seppellirono in un’arca di marmo, dove la gente prese ad accendervi lumini per venerarlo. La sua
fama si impose tanto che, ad ogni avversità della vita, quasi tutti si rivolgevano a lui. Invero si
direbbe ch’egli sia caduto nelle mani del diavolo più che tra gli angeli del cielo: ma tutto ciò è
occulto, quale che sia stata la sua scellerata vita. Così morì quest’uomo entrato nel numero dei santi,
e ora chiamato Santo Ciappelletto: nome a cui ci raccomandiamo, certi d’essere da lui uditi